venerdì 29 ottobre 2010

Marina Ambrosetti



Marina Ambrosetti è nata a Chiavenna nel 1962, vive in val Bregaglia a Prosto di Piuro in provincia di Sondrio,dove dedica gran parte del suo tempo alla pittura.
IL suo mondo pittorico è dedicato alla figura femminile vista  nei diversi frammenti più rappresentativi di crescita,alla ricerca di un suo ruolo ,un percorso attraverso un evolversi di passaggi vitali.
La sua donna vuole rappresentare:attimi, impulsi,componendo la totalità delle sue opere; espressioni,sguardi che chiedono allo spettatore  una risposta in uno spazio circonciso e creato con frammenti d'emozioni ,dalla gestualità che nasce dal vivere  situazioni che determinano uno stato d'animo proiettato verso desideri .Una pittura attenta ed evidenziata da tratti liberi  che delineano la figura e determinano l'aspetto per la chiave di lettura, un insieme di sensazioni portanti che permettono ampio respiro interpretativo,facendo si che il messaggio artistico  assuma il ruolo di personali attimi interiori,.cristallizzando solitudine, leggerezza, nostalgia: Marina Ambrosetti è una pittrice che cerca quanto più possibile di far vivere  le sue protagoniste, I movimenti ed i colori scelti in ogni dipinto, sono il risultato di uno studio voluto e cercato,un'arte che non può essere raccontata ma vissuta al primo sguardo .
R.de Salvatores

Renato Start

mercoledì 27 ottobre 2010

Rosaria Di Donato







 DI PAROLE, DI ACQUA , DI DONATO: ROSARIA E LA SUA POESIA

L’espressione letteraria di Rosaria Di Donato è, per così dire, metapoetica: è la poesia che narra se stessa, che trae origine ancor prima di prendere forma, quando è soltanto “un labirinto di pensieri impenetrabili”, per poi materializzarsi attraverso la “fatica d’essere / fatica d’esistere ogni giorno / rannicchiati alla vita / sospinti dall’inquieto sentire”, nell’implorante speranza che “forse le parole potranno…”, fino a raggiungere la vetta disperatamente ambita e quindi “la parola che salva / il veleno annientando”. E’ la funzione salvifica dell’arte, e quindi della parola, a muovere la penna dell’ autrice, a condurla lungo l’impervio sentiero della propria anima. L’acqua è l’elemento che dà il titolo alla raccolta ed è inoltre protagonista della copertina; l’acqua del titolo è lustrante, quella della copertina scorre con decisione e vigoria: è la forza purificatrice e “lustrante d’acqua il mondo / rinato dal diluvio”,è “il sussurro di mare” della Vergine Maria, ma è anche il mare dove “affondano…clandestini”, nonché un’ imponente presenza frapposta alle aspirazioni della poetessa, quando scrive “veleggerò sicura in ogni dove / se ci sarà tempesta ammainerò le vele / con secchi neri vuoterò la nave / e pregherò il buon Dio… / …che renda quieto il mare”.
La poesia di Rosaria Di Donato poggia su due cardini essenziali: la parola e l’acqua, le quali si incontrano proprio nella più remota e sofferta interiorità dell’artista, nell’anelante pensiero in cui “forse le parole potranno / circoscrivere il diluvio / arginare la deriva dell’ io”.
In varie composizioni la religiosità è imperante e sapientemente diversificata, traendo spunti sempre differenti: dai versetti evangelici a Giovanni Paolo II, da Maria agli angeli cherubini, dalla rilettura del Padre Nostro all’antitesi fra la città celeste e quella terrena, che è poi la medesima antitesi tematica che si riscontra nella stessa silloge, poiché l’autrice percorre anche il sentiero dell’attualità, espressamente identificata in “epitaffio per l’undici settembre”, dove la circolarità della poesia, con i versi iniziali uguali a quelli finali, pone un interrogativo la cui unica certezza sta proprio nell’ assenza di una risposta certa.
Quella di Rosaria Di Donato è poesia che scruta, che indaga, è un esercizio di equilibrismo tra il quotidiano e l’eterno, tra l’odio e l’amore, nella lucida disperazione affidata alla mediazione dell’arte, ossia della parola, che si conferma perciò quale fondamento concettuale dell’intero libro. Pertanto, siamo dinanzi ad un’ opera impegnata, la quale induce il lettore a confrontarsi e a scuotersi con essa, non solo e non tanto per lasciarsi condurre, ma ancor più per concedersi alla riflessione. E’ una versificazione legittimamente ambiziosa nei contenuti e ragionata nell’esposizione stilistica, in quanto priva di ridondanze e talvolta rivestita di suggestive venature ermetiche.
Alcune poesie sono espressamente dedicate a personaggi della cultura, del teatro e del cinema, quali Pier Paolo Pasolini, Vittorio Gassman, Anna Magnani; il transito nella loro memoria non è separato dal contesto del libro, ma è anzi ben coordinato ad esso: infatti tali personaggi diventano lo spunto per soffermarsi sul dramma umano dei clandestini lungo le nostre coste (ancora il mare, ancora l’acqua…), oppure per ritornare sul tema della vita oltre la morte, dello spirito che vince sulla materia. Una menzione a parte va però riconosciuta ai versi riguardanti Anna Magnani laddove, con notevole efficacia icastica, viene definita “una che cade gridando / sotto il fuoco nemico / una che inciampa e s’accascia / nel ventre di Roma”. I fotogrammi di quella mirabile sequenza cinematografica, impressi nella nostra memoria, vengono trasportati con successo nella forma scritta, realizzando un ideale connubio tra la macchina da presa e la penna. Le parole richiamano nella nostra mente le immagini della pellicola e ciò avviene con encomiabile naturalezza ed efficacia.
La silloge si conclude con una poesia futurista che può apparire sorprendente, considerando la struttura contemporanea delle precedenti composizioni, ma in realtà il lettore più attento può notare come l’ autrice, in precedenza, abbia ricorso a termini quali pianetaspento o salmastrobuio, di chiara ascendenza futurista, data l’assenza dello spazio tra una parola e l’altra. Inoltre il contenuto, inneggiante alla fecondità dell’arte, è ben pertinente a quanto già espresso nel libro. Quest’ ultima poesia irrompe con piacevole vivacità e con il propositivo ottimismo di un “oggi-futuro / ancora domani”, che permette di congedarsi dal lettore placando, almeno in parte, la temperie dei precedenti versi.

Massimo Frattolillo

venerdì 22 ottobre 2010

Alessandro Passerini






2MILA10
Fetish?
Silenzio.
Fumo di sigaretta nell’aria.

L’assenza di suono fresca dell’ “è – stato” inonda l’aria e la riempie di un ricordo che non ci è dato di conoscere.
Un connubio tra alto e basso si fonde in un dialogo tra concettualità e tecnicismo, si concentra su un’interpretazione di un kischt dalle velleità molto meno pornografiche e più pittoresche, concetto inteso nell’ultima accezione che gli ha attribuito l’arte contemporanea.
La tradizione della fotografia erotica è tanto vecchia quanto l’invenzione del mezzo stesso: primo caso e primo grande scandalo fu creato da Diotallevi, quando, con l’aiuto della moglie, nella Londra di metà ottocento, realizzava immagini pornografiche ispirate alla Bibbia e ai fotomontaggi.
Deprecabile e di dubbia moralità, il caso Diotallevi ci ha offerto la testimonianza delle prime manifestazioni svelate ed il primo vero sdoganamento dell’immagine del corpo scoperto.
Nel corso della storia della fotografia, questo mercato non si è mai fermato e certamente questo genere di produzione non ha mai cessato di suscitare interesse.
La trasformazione e le contaminazioni tra ricerche concettuali e fotografia erotica hanno trovato il picco di massima espressività durante gli anni ottanta del novecento: da questo momento in poi il corpo diventa oggetto trasmissivo e soggettuale del processo fotografico.
Le foto in mostra sono il frutto di questo processo foto-culturale e artistico: volente o nolente, le generazioni degli artisti successive agli anni ’70 hanno vissuto e vivono tuttora, in un clima post avanguardistico intriso di una paradossale manualità concettuale che riesce da unire un impeccabile formalismo con un concetto narrativo saldo e deciso.
Passerini ci fa entrare in una dimensione temporale sospesa, degna di essere accostata alla narrative art della suspance di Mac Adams (ovviamente sottraendo il thriller che lo ha sempre contraddistinto) ed aggiunge il tocco voyeuristico estraniante di Mapplethorpe e Weber.
Un boudoir appena consumato o una camera da letto invasa da malinconia e perversione?
E’ proprio in questo limbo che ci piace sguazzare, interrogandoci.

Michela Malisardi (Critica d’Arte)

venerdì 15 ottobre 2010

Sergio Olmeda

Roberto Scala


Sara Palladino


Melita Olmeda





Melita Olmeda, nata a Roma nel 1967, dimostra fin dall'infanzia una spiccata creativita' e talento illustrativo. A circa venti anni, consegue la qualifica professionale nel settore delle arti grafiche, che la introduce nell'ambiente editoriale e pubblicitario. Utilizza il computer avvalendosi anche delle tecniche artistiche per gli elaborati che realizza per case editrici, associazioni, privati, nonche' per il Comune di Roma e l'Ordine dei Cavalieri di Malta. Consegue una ulteriore qualifica nell'ambito dell'informatica che arricchisce le sue competenze e frequenta un corso di scenografia pressol'istituto Vaccari di Roma. Elementi scenografici per teatri ed altre location compaiono successivamente tra le sue esperienze. Espone opere pittoriche a Roma, in piazza della citta' Leonina,  in quattro edizioni del Premio Arte col patrocinio del XVII municipio, ricevendo nel 2011  il primo premio per la grafica.  Inoltre alla torretta Valadier col patrocinio del XX municipio e in diverse strutture promotrici di iniziative culturali, riscuotendo notevoli successi di pubblico.  Partecipa ad attivita' artistiche, quali la mail-art, in Italia e all'estero.

Gianfranco Maletti

LuAnn Palazzo


Laurent Molet

Ilie Krasovschi




Filippo Altomare

Felix Rodriguez

Armando Moreschi




Armando Moreschi
Nasce a Roma il 5 novembre 1949, da madre abruzzese e padre romano, ha iniziato a sentirsi un artista già dalle scuole Medie inferiori. Nonostante questo i Genitori lo instradano a studi tecnici che lo annoiano e gli tolgono completamente la voglia di studiare.
Già però nel 1967, il diciassettenne aspirante-artista, è intento più ad ascoltare le musiche dei Beatles e dei Rolling Stones che a studiare in un istituto tecnico industriale. Ha in testa, i “capelloni” e le belle idee di pace, che lui e i suoi coetanei cantano e strimpellano in continuazione.
Visto che la scuola non fa per lui e non viene dai Suoi presa nemmeno in considerazione come alternativa l’iscrizione ad un liceo artististico inizia a lavorare.
Nel suo “studio romano”, che poi è la sua cameretta; presero forma i suoi primi approcci di tecniche dipinte o colate su tele e compensati, o semplicemente disegnati su carta e cartoncini.
Le prime tecniche sono le più tradizionali, e naturalmente non lo soddisfano.
L’artista unisce nel percorso della sua vita elementi apparentemente diversi ma per lui inscindibili, come, la fotografia, la performance la scultura e l’arte del movimento Già un anno dopo però egli approda ad un materiale per niente comune ad un artista autodidatta e su una tavoletta di legno prende forma “il numero uno”.
Su questa tavoletta viene semplicemente colata dal barattolo colla vinilica.
E’ bellissima, è bianca, ma asciugandosi diventerà trasparente.
Quell’esperimento colorato con dell’inchiostro di china rosso gli rivela che: astratto è bello!
I colori di quegli anni “incendiati” dalle prime rivoluzioni giovanili, lo ispirano alla pace e all’amore e lo invogliano a tematiche e toni da “figlio dei fiori”.
La tecnica però si evolve e nel sessantanove con una tecnica di “Self-Made” dripping nascono i
primi “Rilievi acrilici”.
Il tratto filiforme è a rilievo ed è inizialmente trasparente.
Qualche anno dopo però l’effetto grafico, creato sempre di getto, ( senza una base disegnata ) si evolve in un impasto di conglutinante sintetico e colori acrilici. L’accostamento dei colori, degli inchiostri di china che riempiono gli spazi delimitati dai rilievi, sono dettati da un cromatismo a volte equilibrato a volte violento.
Ispirandosi ai lavori materico-informali di Turcato elabora alcune opere su sfondo fosforescente che ravvivano la sua tavolozza di una luce nuova.
Questa tecnica quindi, dalla ricerca iniziale, si affina nel tempo e attraverso essa l’artista esprime la sua originalità sempre rinnovata sino ai giorni nostri.

Ana Lagidze



Mariagrazia Benvenuti






 
La sua poesia accompagna le tele, ma subisce graffi profondi, a causa delle atmosfere pungenti, intrecciate con i volumi veri, aghiformi del filo spinato, che sembrano inibire la condivisione delle intense pene di colei che li ha martellati sulla tela. Perfino lo scoppiettio del fuoco del camino è reso attraverso lame di frammenti di vetro, docce di bruto cristallo su sfondi slavati, indolenti, se non fosse per quei versi della Argentino che ci avvisano, nella sontuosità post-classica della loro composizione, che si tratta del dolore causato da una ferita aperta, in cui l'artista si ingegna a "pestare la vita nel mortaio dei sensi..".
Oppure, quell'Ecce Homo avviato al martirio, il cui volto è un'unica colata di vernice lavica, densa e trasparente, fusa su di una testa alla De Chirico, dove però si vede attraverso. Un ovale profondo e marcato, che culmina sulla fronte martoriata da un unico segmento di filo spinato, a semianello, con i sensi del dolore evidenti nei tratti verticali, profondi, disegnati a matita grossa, della composizione originaria sottostante. Qui la Argentino parla di "inadeguata sapienza", cosciente che "l'abisso è colmabile, se Dio riprendesse la sua onnipotenza dalle nostre mani". Che cos'è l'Amore, poi, per la Benvenuti! Uno struggente contorno di filo spinato, arrotolato a forma di cuore, in cui i battiti sono piccole bolle di colore bianco, in rilievo sullo sfondo pallidissimo della tela. Soltanto una stria color sangue ricorda l'imperscrutabilità della passione, attraverso la scritta "I love you", ma con l'avvertenza della Argentino che non conviene a quel qualcuno "d'affidarmi la sua paura se io stessa temessi avendone cura di rendergli coraggio". No, meglio che "germogli ardire nel cuore inzaccherato", cosicché sia merito esclusivo di chi soffre, l'essersi elevato oltre il proprio limite terreno.
E nemmeno quell'angelo, dalle ali avvolgenti, le cui innervature sono disegnate con i tratti del ferro irto di spine, può proteggere l'Essere dalle "punture" della vita, in cui non è chiaro se gli spettri siano dentro o fuori di noi, tanto che nemmeno un'esperta indovina può trovare la risposta giusta.. L'evento del parto, poi.. Spezzato nettamente in due tra il "Prima" ed il "Dopo", quando l'essere nuovo fugge via dal suo nido biologico, come fanno gli uccelli quando indossano le ali della vita, anche se si ascolta un "pianto irrefrenabile dello strappo, dopo milioni di anni impreparati, ancora al nascere così come al morire..". La sirena al timone, infine, dove l'onda è tutto, lussureggiante sul piano ribaltato, perché la chimera del vivente è "risacca che spagina il tempo..", ovvero "scoramento del vivente che torna in alto mare..". Ed il turbinare degli elementi naturali è tutto dentro l'occhio, profondamente mascarato all'interno dei suoi confini di filo spinato, in cui i filamenti di rimmel risalgono verso l'iride disegnato nel caos roteante, come accade durante i giorni di pioggia, quando il vento forte della velocità fa risalire lungo il vetro l'acqua che tenta di trovare finalmente pace, giacendo sulla superficie piatta.

(Maurizio Bonanni - L'Opinione)