venerdì 22 ottobre 2010

Alessandro Passerini






2MILA10
Fetish?
Silenzio.
Fumo di sigaretta nell’aria.

L’assenza di suono fresca dell’ “è – stato” inonda l’aria e la riempie di un ricordo che non ci è dato di conoscere.
Un connubio tra alto e basso si fonde in un dialogo tra concettualità e tecnicismo, si concentra su un’interpretazione di un kischt dalle velleità molto meno pornografiche e più pittoresche, concetto inteso nell’ultima accezione che gli ha attribuito l’arte contemporanea.
La tradizione della fotografia erotica è tanto vecchia quanto l’invenzione del mezzo stesso: primo caso e primo grande scandalo fu creato da Diotallevi, quando, con l’aiuto della moglie, nella Londra di metà ottocento, realizzava immagini pornografiche ispirate alla Bibbia e ai fotomontaggi.
Deprecabile e di dubbia moralità, il caso Diotallevi ci ha offerto la testimonianza delle prime manifestazioni svelate ed il primo vero sdoganamento dell’immagine del corpo scoperto.
Nel corso della storia della fotografia, questo mercato non si è mai fermato e certamente questo genere di produzione non ha mai cessato di suscitare interesse.
La trasformazione e le contaminazioni tra ricerche concettuali e fotografia erotica hanno trovato il picco di massima espressività durante gli anni ottanta del novecento: da questo momento in poi il corpo diventa oggetto trasmissivo e soggettuale del processo fotografico.
Le foto in mostra sono il frutto di questo processo foto-culturale e artistico: volente o nolente, le generazioni degli artisti successive agli anni ’70 hanno vissuto e vivono tuttora, in un clima post avanguardistico intriso di una paradossale manualità concettuale che riesce da unire un impeccabile formalismo con un concetto narrativo saldo e deciso.
Passerini ci fa entrare in una dimensione temporale sospesa, degna di essere accostata alla narrative art della suspance di Mac Adams (ovviamente sottraendo il thriller che lo ha sempre contraddistinto) ed aggiunge il tocco voyeuristico estraniante di Mapplethorpe e Weber.
Un boudoir appena consumato o una camera da letto invasa da malinconia e perversione?
E’ proprio in questo limbo che ci piace sguazzare, interrogandoci.

Michela Malisardi (Critica d’Arte)

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