mercoledì 27 ottobre 2010

Rosaria Di Donato







 DI PAROLE, DI ACQUA , DI DONATO: ROSARIA E LA SUA POESIA

L’espressione letteraria di Rosaria Di Donato è, per così dire, metapoetica: è la poesia che narra se stessa, che trae origine ancor prima di prendere forma, quando è soltanto “un labirinto di pensieri impenetrabili”, per poi materializzarsi attraverso la “fatica d’essere / fatica d’esistere ogni giorno / rannicchiati alla vita / sospinti dall’inquieto sentire”, nell’implorante speranza che “forse le parole potranno…”, fino a raggiungere la vetta disperatamente ambita e quindi “la parola che salva / il veleno annientando”. E’ la funzione salvifica dell’arte, e quindi della parola, a muovere la penna dell’ autrice, a condurla lungo l’impervio sentiero della propria anima. L’acqua è l’elemento che dà il titolo alla raccolta ed è inoltre protagonista della copertina; l’acqua del titolo è lustrante, quella della copertina scorre con decisione e vigoria: è la forza purificatrice e “lustrante d’acqua il mondo / rinato dal diluvio”,è “il sussurro di mare” della Vergine Maria, ma è anche il mare dove “affondano…clandestini”, nonché un’ imponente presenza frapposta alle aspirazioni della poetessa, quando scrive “veleggerò sicura in ogni dove / se ci sarà tempesta ammainerò le vele / con secchi neri vuoterò la nave / e pregherò il buon Dio… / …che renda quieto il mare”.
La poesia di Rosaria Di Donato poggia su due cardini essenziali: la parola e l’acqua, le quali si incontrano proprio nella più remota e sofferta interiorità dell’artista, nell’anelante pensiero in cui “forse le parole potranno / circoscrivere il diluvio / arginare la deriva dell’ io”.
In varie composizioni la religiosità è imperante e sapientemente diversificata, traendo spunti sempre differenti: dai versetti evangelici a Giovanni Paolo II, da Maria agli angeli cherubini, dalla rilettura del Padre Nostro all’antitesi fra la città celeste e quella terrena, che è poi la medesima antitesi tematica che si riscontra nella stessa silloge, poiché l’autrice percorre anche il sentiero dell’attualità, espressamente identificata in “epitaffio per l’undici settembre”, dove la circolarità della poesia, con i versi iniziali uguali a quelli finali, pone un interrogativo la cui unica certezza sta proprio nell’ assenza di una risposta certa.
Quella di Rosaria Di Donato è poesia che scruta, che indaga, è un esercizio di equilibrismo tra il quotidiano e l’eterno, tra l’odio e l’amore, nella lucida disperazione affidata alla mediazione dell’arte, ossia della parola, che si conferma perciò quale fondamento concettuale dell’intero libro. Pertanto, siamo dinanzi ad un’ opera impegnata, la quale induce il lettore a confrontarsi e a scuotersi con essa, non solo e non tanto per lasciarsi condurre, ma ancor più per concedersi alla riflessione. E’ una versificazione legittimamente ambiziosa nei contenuti e ragionata nell’esposizione stilistica, in quanto priva di ridondanze e talvolta rivestita di suggestive venature ermetiche.
Alcune poesie sono espressamente dedicate a personaggi della cultura, del teatro e del cinema, quali Pier Paolo Pasolini, Vittorio Gassman, Anna Magnani; il transito nella loro memoria non è separato dal contesto del libro, ma è anzi ben coordinato ad esso: infatti tali personaggi diventano lo spunto per soffermarsi sul dramma umano dei clandestini lungo le nostre coste (ancora il mare, ancora l’acqua…), oppure per ritornare sul tema della vita oltre la morte, dello spirito che vince sulla materia. Una menzione a parte va però riconosciuta ai versi riguardanti Anna Magnani laddove, con notevole efficacia icastica, viene definita “una che cade gridando / sotto il fuoco nemico / una che inciampa e s’accascia / nel ventre di Roma”. I fotogrammi di quella mirabile sequenza cinematografica, impressi nella nostra memoria, vengono trasportati con successo nella forma scritta, realizzando un ideale connubio tra la macchina da presa e la penna. Le parole richiamano nella nostra mente le immagini della pellicola e ciò avviene con encomiabile naturalezza ed efficacia.
La silloge si conclude con una poesia futurista che può apparire sorprendente, considerando la struttura contemporanea delle precedenti composizioni, ma in realtà il lettore più attento può notare come l’ autrice, in precedenza, abbia ricorso a termini quali pianetaspento o salmastrobuio, di chiara ascendenza futurista, data l’assenza dello spazio tra una parola e l’altra. Inoltre il contenuto, inneggiante alla fecondità dell’arte, è ben pertinente a quanto già espresso nel libro. Quest’ ultima poesia irrompe con piacevole vivacità e con il propositivo ottimismo di un “oggi-futuro / ancora domani”, che permette di congedarsi dal lettore placando, almeno in parte, la temperie dei precedenti versi.

Massimo Frattolillo

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