Armando Moreschi
Nasce a Roma il 5 novembre 1949, da madre abruzzese e padre romano, ha iniziato a sentirsi un artista già dalle scuole Medie inferiori. Nonostante questo i Genitori lo instradano a studi tecnici che lo annoiano e gli tolgono completamente la voglia di studiare.
Già però nel 1967, il diciassettenne aspirante-artista, è intento più ad ascoltare le musiche dei Beatles e dei Rolling Stones che a studiare in un istituto tecnico industriale. Ha in testa, i “capelloni” e le belle idee di pace, che lui e i suoi coetanei cantano e strimpellano in continuazione.
Visto che la scuola non fa per lui e non viene dai Suoi presa nemmeno in considerazione come alternativa l’iscrizione ad un liceo artististico inizia a lavorare.
Nel suo “studio romano”, che poi è la sua cameretta; presero forma i suoi primi approcci di tecniche dipinte o colate su tele e compensati, o semplicemente disegnati su carta e cartoncini.
Le prime tecniche sono le più tradizionali, e naturalmente non lo soddisfano.
L’artista unisce nel percorso della sua vita elementi apparentemente diversi ma per lui inscindibili, come, la fotografia, la performance la scultura e l’arte del movimento Già un anno dopo però egli approda ad un materiale per niente comune ad un artista autodidatta e su una tavoletta di legno prende forma “il numero uno”.
Su questa tavoletta viene semplicemente colata dal barattolo colla vinilica.
E’ bellissima, è bianca, ma asciugandosi diventerà trasparente.
Quell’esperimento colorato con dell’inchiostro di china rosso gli rivela che: astratto è bello!
I colori di quegli anni “incendiati” dalle prime rivoluzioni giovanili, lo ispirano alla pace e all’amore e lo invogliano a tematiche e toni da “figlio dei fiori”.
La tecnica però si evolve e nel sessantanove con una tecnica di “Self-Made” dripping nascono i
primi “Rilievi acrilici”.
Il tratto filiforme è a rilievo ed è inizialmente trasparente.
Qualche anno dopo però l’effetto grafico, creato sempre di getto, ( senza una base disegnata ) si evolve in un impasto di conglutinante sintetico e colori acrilici. L’accostamento dei colori, degli inchiostri di china che riempiono gli spazi delimitati dai rilievi, sono dettati da un cromatismo a volte equilibrato a volte violento.
Ispirandosi ai lavori materico-informali di Turcato elabora alcune opere su sfondo fosforescente che ravvivano la sua tavolozza di una luce nuova.
Questa tecnica quindi, dalla ricerca iniziale, si affina nel tempo e attraverso essa l’artista esprime la sua originalità sempre rinnovata sino ai giorni nostri.
Già però nel 1967, il diciassettenne aspirante-artista, è intento più ad ascoltare le musiche dei Beatles e dei Rolling Stones che a studiare in un istituto tecnico industriale. Ha in testa, i “capelloni” e le belle idee di pace, che lui e i suoi coetanei cantano e strimpellano in continuazione.
Visto che la scuola non fa per lui e non viene dai Suoi presa nemmeno in considerazione come alternativa l’iscrizione ad un liceo artististico inizia a lavorare.
Nel suo “studio romano”, che poi è la sua cameretta; presero forma i suoi primi approcci di tecniche dipinte o colate su tele e compensati, o semplicemente disegnati su carta e cartoncini.
Le prime tecniche sono le più tradizionali, e naturalmente non lo soddisfano.
L’artista unisce nel percorso della sua vita elementi apparentemente diversi ma per lui inscindibili, come, la fotografia, la performance la scultura e l’arte del movimento Già un anno dopo però egli approda ad un materiale per niente comune ad un artista autodidatta e su una tavoletta di legno prende forma “il numero uno”.
Su questa tavoletta viene semplicemente colata dal barattolo colla vinilica.
E’ bellissima, è bianca, ma asciugandosi diventerà trasparente.
Quell’esperimento colorato con dell’inchiostro di china rosso gli rivela che: astratto è bello!
I colori di quegli anni “incendiati” dalle prime rivoluzioni giovanili, lo ispirano alla pace e all’amore e lo invogliano a tematiche e toni da “figlio dei fiori”.
La tecnica però si evolve e nel sessantanove con una tecnica di “Self-Made” dripping nascono i
primi “Rilievi acrilici”.
Il tratto filiforme è a rilievo ed è inizialmente trasparente.
Qualche anno dopo però l’effetto grafico, creato sempre di getto, ( senza una base disegnata ) si evolve in un impasto di conglutinante sintetico e colori acrilici. L’accostamento dei colori, degli inchiostri di china che riempiono gli spazi delimitati dai rilievi, sono dettati da un cromatismo a volte equilibrato a volte violento.
Ispirandosi ai lavori materico-informali di Turcato elabora alcune opere su sfondo fosforescente che ravvivano la sua tavolozza di una luce nuova.
Questa tecnica quindi, dalla ricerca iniziale, si affina nel tempo e attraverso essa l’artista esprime la sua originalità sempre rinnovata sino ai giorni nostri.
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